In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:
«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.
Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.
Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».
Is 1,10.16-20   Sal 49   Mt 23,1-12

Sarebbe facile lavarsi le mani dal vangelo di oggi con la scusa che parla degli scribi e dei farisei. Gesù non stava facendo gossip, ma parlava ai discepoli, parla a noi. Il vangelo si rivolge primariamente a chi annuncia il vangelo, ma in realtà riguarda ogni cristiano che deve essere un annuncio incarnato del vangelo. Cosa sta dietro ogni atteggiamento denunciato da Gesù? – una perversa sostituzione di Dio con l’io. Il rimedio allora è quello di tornare al primo amore, di tornare all’essenziale e di verificare cosa spinge la nostra testimonianza, cosa motiva le nostre scelte. Non si può essere davvero di Gesù se nel nostro tempio abbiamo ancora l’idolo di noi stessi. Gesù stesso ci insegna che non possiamo credere se cerchiamo gli uni la gloria dagli altri. «Non a noi, non a noi, Signore, ma al tuo nome sia la gloria».