Il Regno di Dio non è un’utopia, non è un non-luogo. Essendo la persona stessa di Cristo, il Verbo d’Amore, egli è il Presente che non si im-pone, ma sempre si pro-pone. Per questo possiamo anche attenuarne la forza, proprio con i nostri no, con le nostre chiusure, con il nostro “uomo-vecchio”, e privarlo di fatto di una sua attuazione nel nostro universo personale. Se il regno di Dio sembra a volte un’utopia, è perché lo lasciamo lì, alla porta a bussare. Lì, nel rispetto della nostra libertà, l’onnipotenza di Dio si ferma volutamente impotente. D’altronde il bene imposto sarebbe un grande male.
Nella prima lettera leggiamo come il Paolo irruento è stato rimodellato – ormai anziano - da questo stile di Dio. Nella “cartolina” a Filemone mostra come non abusa più della sua autorità per avanzare pretese, ma si ferma – proprio come il suo Maestro – alla porta della volontà dell’altro, attendendo nell’umiltà tipica.

Questo “galateo” del Regno ci invita a due gesti complementari: alla discrezione dell’amore verso chi ci vive accanto e a bruciare di desiderio, con lo Spirito e la Sposa: «Vieni Signore Gesù»… «Venga il tuo Regno».