Quando si parla di figliolanza nelle lettere protopaoline, ci sono sostanzialmente tre livelli: il primo concerne il Figlio di Dio Gesù Cristo; il secondo, i credenti in lui e gli israeliti; il terzo, il rapporto tra l’Apostolo e i destinatari delle sue lettere». Ora, nella letteratura esegetica manca – secondo il giudizio di Francesco Bianchini – «una connessione organica» tra questi tre livelli di figliolanza con lo scopo di comprendere la ragione del ricorso al suddetto lessico. Il volume di Bianchini, Figli nel Figlio. La categoria della figliolanza nelle lettere di Paolo, edito dalla San Paolo, cerca di ovviare a questa lacuna.
La ricerca di Bianchini si limita al campo delle sette lettere protopaoline, sulle quali c’è il consenso degli studiosi sulla paternità paolina. Le lettere, quindi, sono: Galati, Romani, 1 Tessalonicesi, 1-2 Corinzi, Filippesi e Filemone.
La metodologia esegetica a cui l’A. fa riferimento è l’analisi retorico-letteraria, la quale parte dalla priorità del testo rispetto al suo contesto e che cerca di comprenderne la logica argomentativa anche in relazione ai destinatari, tenendo conto della rilevante componente retorica propria della cultura antica, nel cui ambito Paolo si trova profondamente inserito.
Prendendo, ad esempio, l’analisi che Bianchini fa della lettera ai Galati, la prima lettera analizzata, si giunge alla conclusione che già fa convergere i livelli di figliolanza accennati all’inizio di questa presentazione. Paolo parla ai galati come tékna mou, rivestendosi del ruolo di partoriente che di nuovo è in gestazione affinché il Cristo trovi forma nei destinatari. L’apostolo prova che i credenti provenienti dal paganesimo, e poi tutti i cristiani, sono veri figli di Dio e di Abramo, non in ragione di un’appartenenza etnica o una conseguente osservanza della Legge, ma per dono dello Spirito di Dio e mediante la sola fede in Cristo. Perciò la categoria di figliolanza va ad assumere una valenza compiutamente ecclesiologica, in modo che – per dirla con san Cipriano - «non può avere Dio come padre che non ha la Chiesa come madre» (L’unità della Chiesa, 6).


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