Pensare all’unità come punto di partenza del pensare e cercare questa convergenza in due pensatori che vengono da due fedi diverse è un’audace sfida. Sfida che Maria Benedetta Curi lancia nel suo Pensare dall'unità. Franz Rosenzweig e Klaus Hemmerle. L’intento, come viene riassunto dall’a. nell’Introduzione, è una speranza: «La speranza epistemologica è che nel dialogo fraterno tra due prospettive, quella ebraica orientata dalla Stella e quella cristiana orientata dalla Trinità che si rivela fino alla croce, si possa contribuire a dar luce a quella via unitaria di vita e di pensiero propria del nostro oggi».



Da prospettive diverse, l’a. mostra come gli orizzonti dei due pensatori, Rosenzweig e Hemmerle, si incontrano. Lo stesso grido che apre La stella della redenzione di Rosenzweig, è «il grido del nostro secolo» per Hemmerle, il grido di un uomo disorientato, dentro e fuori, ma che è comunque alla ricerca di un senso del vivere, cercando la relazione giusta, con se stesso, con gli altri e con la dimensione del divino; «un uomo purtroppo ancora imprigionato in tentativi di unità fittizi, deboli e disorientati, in mano a pochi, capaci di assicurare la vera libertà in tutte le sue dimensioni e di salvare l’uomo dalla frantumazione che, dopo quella delle macerie della guerra, ha preso aspetti e forme più subdole investendo anche la sfera psichica, culturale e spirituale».
La comunanza tra i due autori emerge in una prossimità che è più profonda del cosa del progetto verso un come che li accomuna, un come dialogico che colora l’ontologia con un tratto spiccatamente e inscindibilmente relazionale.


Il come della visione sul reale nella sua novità riguarda non solo nuovi contenuti, ma un nuovo modo di vivere e pensare dall’Uno.  «L’alto anelito della filosofia si realizza ora come quell’essere-uno-fra-noi della redenzione che approssima l’unità prima e ultima dell’essere: l’essere di Dio fra tutti». Rosenzweig lo fa dall’unità della Prima Alleanza, Hemmerle dall’unità trinitaria della Seconda Alleanza realizzata da Gesù che gli permette di prospettare un’ontologia in chiave trinitaria.
Più che riassunto della tesi, il seguente passo di Hemmerle offre la portata prospettica del pensare dall’unità: «Non si tratta di un essere assorbiti dall’altro, né di un soffocamento del dialogo nella monotonia. Io sono me stesso solamente se io sono più grande di me, se mi sorpasso verso il tutto e l’assoluto. Questo superamento non è in me aggiuntivo al mio essere, ma il mio essere accade proprio in questo superamento. Da ciò il mio atto-dell’Io è proprio atto-del-Tu e atto-del-Noi. Lo Spirito è nella Trinità in un certo senso l’espressività di tale scambio, questo immanente superamento di sé – e solo dallo spirito può accadere anche il superamento di sé di Dio verso fuori, la creazione. La comunicazione di sé nella rivelazione e infine la radicale comunicazione di sé nell’incarnazione del Figlio. Vedere me in te, te in me e vedere in e tra di noi la vita una e l’amore uno, questo è il nostro atto d’essere in cui noi solamente compiamo la connessione della nostra vita e della nostra persona».






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