Davanti a una domanda così, la risposta spontanea è quella dell’onnipotenza di Dio. Non è, infatti, il primo attributo che riconosciamo in Dio dopo la confessione della sua divinità e della sua paternità: «Credo in Dio Padre onnipotente»?
Ma per rispondere a questa domanda dal punto di vista cristiano, Piero Coda ci ricorda che «bisogna piuttosto guardare a Gesù che è la parola e l’icona di Dio/Abbà, Dio che è Padre. Non ha forse detto egli stesso: “Chi vede me vede il Padre” (Gv 12,45)?» (43).
L’invito a interrogarsi di Coda apre il suo intervento in un libro che raccoglie tre tesi in questa sequenza: Moni Ovadia, La divina perplessità; Lidia Maggi, Un Dio fra le macerie; Piero Coda, Il segreto della fragilità, con una prefazione del curatore Brunetto Salvarani.
Coda invita ad approfondire il senso di fragilità perché prima di attribuire la fragilità a Dio bisogna capire di quale fragilità si tratta. Si può parlare di fragilità psicologica dove uno è fragile nel senso di non aver un dominio sulla propria emotività.
Ma uno può essere fragile in senso positivo quando uno è capace di condividere la vita degli altri nei suoi alti e nei suoi bassi.



Dio in Cristo ha scelto di essere fragile. Ha assunto la carne della nostra fragilità. Il capitolo 4 del vangelo di Marco mostra che «la cifra identificante l’avvento del regno di Dio, in definitiva, è la piccolezza, la gradualità, il rispetto del ritmo dell’altro, l’assunzione attenta e responsabile del tempo» (47).
Gesù rimprovera a Pietro l’identificazione della logica di Dio con quella della potenza e del successo utilizzando parole pesanti verso l’apostolo (cf. Mc 8,33).
Nella fragilità dell’ecce homo si manifesta sub contrario il volto di Dio: ecce Deus.
Per questo Coda conclude la sua breve riflessione con una considerazione provocante: «Gesù è la finestra che apre il nostro sguardo sulla fragilità di Dio. Che non è Dio, il Dio di Gesù, se non lo contempliamo in questa fragilità. Perché è il Dio della relazione, il Dio che mette in gioco tutto se stesso nella relazione con l’altro da sé» (50).
«Il divino, nella vulgata del pensiero religioso della cultura occidentale, è stato associato per secoli e secoli ai concetti grevi di onnipotenza, onniscienza e consimili. Questi concetti totalizzanti e totalitari hanno schiacciato la relazione fra l’umano e il divino nel vicolo cieco della fede senza dubbi, della sottomissione acritica, in fondo al quale è sempre in agguato la perversione del fanatismo» (21).
La fragilità di Dio, la sua capacità di farsi piccolo e prossimo ci insegnano quanto è potente la fragilità di Dio: «Non c’è in un’intera vita cosa più importante da fare che chinarsi perché un altro, cingendoti il collo, possa alzarsi» (Luigi Pintor).


Il chinarsi di Dio mostra la sua potenza salvifica. Mostra che Dio entra nelle nostre tempeste. Dio onnipotente ha scelto di rinunciare alla sua onnipotenza «per fare spazio all’altro da sé, nella sua libertà, nella sua dignità e nella sua capacità di orientare la creazione, che è un progetto aperto» (23).
Nel bel mezzo della Bibbia – come osserva Lidia Maggi – il pensiero biblico si confronta con questa fragilità che crea un mondo che non sempre va nel verso giusto, anzi, un mondo dove il giusto patisce ingiustizia, come ci mostra la parabolica narrazione di Giobbe. In quella storia Dio si manifesta fragile. E ci si chiede il perché: «Dio è fragile, è debole, perché ama e l’amore rende vulnerabili» (31).

Dio nella creazione è crocifisso, ma proprio come crocifisso opera salvezza.

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