Ultimamente
la chiamo “vippite” e mi sembra una malattia che colpisce chi in un certo
ambito inizia a considerarsi come esperto e come arrivato. Date le nostre
possibilità di confrontare versioni del “prima” e del “dopo”, si riesce a
notare, a parte l’innegabile e la lodevole crescita nell’expertise, anche
una crescita in presunzione, una certa infiammazione dell’ego. Se in alcuni
ambiti tale deviazione è vista addirittura come legittima, in ambito spirituale
è sicuramente deleteria. Perché? Non perché l’uomo spirituale deve sempre
sentirsi inadeguato, ma perché la vita spirituale è un cammino, è una relazione
che va quotidianamente vissuta e annaffiata. La vita spirituale è un percorso di
affidamento dove ciò che conta non è montare la testa, ma smontare gli idoli (soprattutto
l’idolo di sé stessi). La vita spirituale è per chi sa rimanere novizio, per chi
vive di nuovi inizi, per chi, come Paolo, dimentica ciò che gli sta dietro e si
protende in avanti, verso Cristo.
Mt
19,23-30
In
quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In verità io vi dico: difficilmente
un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un
cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio».
A
queste parole i discepoli rimasero molto stupiti e dicevano: «Allora, chi può
essere salvato?». Gesù li guardò e disse: «Questo è impossibile agli uomini, ma
a Dio tutto è possibile».
Allora
Pietro gli rispose: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che
cosa dunque ne avremo?». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi
avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua
gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a
giudicare le dodici tribù d’Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o
sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento
volte tanto e avrà in eredità la vita eterna. Molti dei primi saranno ultimi e
molti degli ultimi saranno primi».
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