Giobbe è il paradigma dell'uomo sofferente. E il mondo è popolato da un numero sterminato di “Giobbe”. Confrontarsi con lui non elimina il dolore, ma aiuta meglio a dimorare nelle proprie domande sofferte.
Giobbe ci riporta con i piedi per terra raccontando la storia di un uomo giusto che cade in disgrazia. Il nostro buonsenso fatica ad accettare che le persone buone possano cadere in disgrazia. Eppure, questo accade tutti i giorni. Ciò nonostante, ci sorprendiamo spesso a pensare, come gli amici di Giobbe, che qualche colpa ha provocato la disgrazia. La categoria di merito è troppo radicata nella nostra facoltà di valutazione degli eventi.
Il superamento della categoria del merito, però, non basta a risolvere i problemi. Anzi! Ci troviamo piuttosto dinanzi alla necessità di teorizzare il caos. Detto altrimenti, se la sventura colpisce giusti e ingiusti, buoni e cattivi, «la grande tentazione è pensare che il mondo sia governato dal caos, dalla dea bendata, e negare che valga la pena coltivare la virtù, perché è la fortuna a vincere». Il libro di Luigino Bruni, La sventura di un uomo giusto. Una rilettura del libro di Giobbe, affronta questa tematica attraversando saggiamente e sensibilmente il libro biblico di Giobbe.
Giobbe ci costringe a prendere sul serio le contraddizioni della vita, i suoi silenzi, le non risposte e i paradossi. Giobbe non è un libro per chi non ha avuto un contatto con lo scacco e le correnti contrarie della vita. Non è per chi non ha mai assaggiato bocconi amari. Giobbe è per quelli che hanno conosciuto il linguaggio del dolore e della disperazione. È un libro per la vita adulta. Il libro ci presenta Giobbe senza né padre né madre. È come Adamo. Paradigma di ogni uomo. È Adam, un uomo, un terrestre, come noi. E questo uomo non ci dà una risposta al dolore, ma ci fa interrogare. Forse solo così ci aiuta a trovare le nostre risposte. Risposte non teoriche. Sicuramente non facili. Giobbe non è per tutti. È per chi voglia apprendere il mestiere del vivere «senza accontentarsi delle risposte semplici, neanche di quelle semplicissime dell'ateismo. Giobbe continua a lottare anche per loro».
Il libro di Giobbe mostra lo scacco delle varie risposte della teodicea classica. Ci mostra il peso della solitudine quando l'uomo soffre. Lì convergono amicizia e incomprensione, silenzio e parola. Sì, perché in Giobbe la carne diventa parola. «Il suo canto di maledizione è anche la costruzione di una nuova e diversa arca di salvezza. Nell'arca di Giobbe non salgono i suoi figli e gli animali, ma tutti i disperati, li sconsolati, i depressi, gli abbandonati, i falliti, gli scomunicati, tutte le vittime inconsolabili e inconsolate della storia».
Con Giobbe scopriamo la lungimiranza dell'umanesimo biblico dell’Antico Testamento. Esso non assicura la felicità ai giusti su questa terra. Giobbe è l'uomo dei perché, e un perché che sgorga dal cuore a volte è una grandissima preghiera. Non sempre si viene a patti con Dio ammettendo di essere colpevoli. A volte serve l'audacia di un Giobbe che osa alzare gli occhi ed eleva fiducioso al cielo un rosario di perché.


Gli amici di Giobbe vogliono giustificare Dio. Si accaniscono contro l'uomo per rendere giusto Dio. Giobbe chiede a Dio giustizia. Entra in giudizio con Dio stesso. Malgrado il silenzio apparente invoca un Cielo abitato.
Pur non appartenendo al popolo d'Israele, egli si inserisce tra quelli che elevano al cielo un SOS della terra. «A Giobbe non basta il riscatto in Paradiso, anche perché non lo conosce. Il Dio di questi libri biblici è il Dio dei vivi, non dei morti. Non può essere vero un umanesimo biblico che rimandi tutto il riscatto delle vittime innocenti all'eschaton o all'oltretomba».
Gli amici del libro di Giobbe ci sembrano insensibili e insensati. Ma non dobbiamo sentirci troppo diversi da loro. Il libro li mette lì per farci confrontare, non tanto con loro, ma soprattutto con noi stessi.
Non possiamo capire le domande di Giobbe senza aver appurato la povertà delle nostre risposte. «Anche oggi Giobbe non capisce più le nostre risposte, non lo consolano, lo tormentano. E ci invita almeno a tacere, ad ascoltarlo. Ci sono troppe grida anelanti un Dio diverso che si alzano verso il cielo, che vengono a muti te dalle nostre risposte troppo semplice, poco solidali, lontane dalla gente, che non sanno ascoltare i viaggiatori del nostro tempo».

Giobbe, per chiudere questa piccola presentazione, non va letto tanto per le risposte, quanto per aprirci agli interrogativi dei nostri e degli altrui dolori. Quando in una comunità religiosa Giobbe è eclissato o ammutolito, proliferano le risposte in nome di Dio e spariscono le domande a Dio. Tramonta la fede viva e regna l'astrazione. Giobbe ci dice che Dio non si trova nelle facili risposte e nelle arroccate certezze. Dio non sempre risponde come ci attendiamo. Dio tace. E noi «dobbiamo scoprirlo dentro le grida senza risposta, dobbiamo cercarlo dove apparentemente non c'è».
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