L’Ottocento è stato definito il «secolo della libertà» a motivo della fioritura di tante utopie geopolitiche, scientifiche e filosofiche… ma la storia ha mostrato che la libertà non è un destino facile. Il ventesimo secolo ci ha mostrato la contraddizione già sottolineata da J.-J. Rousseau nel suo Contrat social: «L’uomo è nato libero, e dovunque è in catene». Così, il motto Arbeit macht frei (il lavoro rende liberi) è diventato l’epiteto della tomba non solo della libertà, ma anche dell’umanità dell’uomo.
Queste contraddizioni che la storia scrive a caratteri indelebili ci impongono una riflessione sulla libertà che vada al di là dell’ingenuità di proclami trionfalistici ingenui. La riflessione tenuta da Zygmunt Bauman durante la conferenza Il destino della libertà. Quale società dopo la crisi economica, svoltasi a Perugia il 6 maggio 2014 per iniziativa della Conferenza Episcopale Umbra in collaborazione con il Progetto Culturale della CEI, l’Università degli Studi di Perugia e l’Università per Stranieri di Perugia.
La conferenza di Bauman è stata raccolta in un volume omonimo presentato da una illuminante introduzione di Andrea Possieri e seguita dalla riflessione su La libertà generativa di Chiara Giaccardi e Mauro Magatti.
Come è possibile parlare di libertà all’ombra di una maggiore pressante società dei bisogni dove il dominio non è più quello di un impero militare, ma di un emporio di consumi?
L’ideologia dei consumi ha imposto un dominio pacifico fatto non più di barriere di principi, ma di gusti. La modernizzazione intesa come standardizzazione dei consumi crea un effetto dipendenza che offre l’illusione di libertà tra la scelta dei vari prodotti, ma entro in contesto limitato e pilotato di bisogni il più delle volte indotti e pilotati che trasformano il «cittadino-consumatore» in «consumatore-cittadino». Il consumo diventa così – come nota E. Scarpellini – un «marcatore sociale» e un «elemento di identità e di socializzazione».
Cos’è allora la libertà, quella libertà che è secondo Bauman il nostro destino che dobbiamo costruire?
Per il filosofo polacco, esistono due modi per intendere la libertà: «Il primo presenta la libertà come un rapporto sociale in cui ogni persona ha la possibilità di imporre se stessa. Questo significa che probabilmente ci saranno anche delle “vittime” del mio affermarmi». Il secondo modo di libertà è quello che valorizza innanzitutto «il diritto di scegliere che detiene ogni singolo individuo», è, in altri termini, «l’assunzione di responsabilità delle proprie scelte e delle conseguenze che esse provocano; e che comprenda, infine, la speranza che tutto ciò che queste scelte comportano produrrà un miglioramento per la società».




L’alternativa è quella tra un concezione competitiva di libertà e una concezione solidale della stessa. In quest’ottica Bauman esamina l’ipotesi del tramonto progressivo della società capitalista che lascia progressivamente il posto a un modello di commons collaborativo. Quest’ultimo è «animato da interessi collaborativi e da un profondo desiderio di collegarsi con gli altri e, appunto, di condividere». Questo sistema è l’internet delle cose che rompe con l’egemonia delle grandi aziende verso modelli di maggiore collaborazione e condivisione che abbattono i costi e la concentrazione di potere e capitali nelle mani di pochi.
Bauman si mostra scettico verso la spontaneità di questo processo osservando che internet, piuttosto che unire e promuovere l’accordo e la collaborazione fra le persone, sta finendo per favorire conflitti e antagonismi.
La falla nell’utopia del comunitarismo/comunismo di internet è dovuta alla constatazione emersa da numerose ricerche che dimostrano che «gli utenti assidui di internet possono trascorrere e di fatto trascorrono gran parte (forse la maggior parte) del proprio tempo, o addirittura l’intera vita in rete, incontrandosi esclusivamente con persone che la pensano come loro. La rete crea una versione raffinata di “zona ad accesso limitato”».

Il futuro, allora, non è già predeterminato. Non potrebbe esserlo. Non siamo liberi di non essere liberi, di non scrivere il nostro destino di libertà. Bauman chiude la sua riflessione con le due sfumature della parola latina auctor che esprime l’unione tra due ruoli diversi, normalmente separati: uno è il ruolo di autore e uno è quello di attore. Forse nella distinzione cruciale tra l’attività del primo e la passività del secondo che si gioca il destino della libertà.