Nonostante i millenni che ci separano da lui, Geremia è un profeta sorprendentemente attuale per vari motivi. Il suo messaggio e la sua persona – e di lui il biblista Luis Alonso Schökel dice che «nessun profeta ha posto tanto della propria vita negli scritti» – parlano a diversi stati dei nostri animi: l’esperienza dell’angoscia, del sentirsi “fregati” da Dio, la solitudine del profeta, il toccare con mano il fallimento e l’infruttuosità del proprio apostolato e della propria testimonianza, l’adirarsi fiduciosamente con Dio, il pentirsi di aver risposto alla chiamata, ecc.
Con lui sperimentiamo che «la vocazione non è un’illuminazione rassicurante, ma è una richiesta di buttarsi, di fidarsi del Signore» (116). Scopriamo, inoltre, che la Bibbia non è soltanto un nutrimento che ci riempie e ci rasserena, ma è anche uno strumento di Dio che ci svuota, ci inquieta, scruta i nostri sentimenti, ci purifica e ci spinge a lottare – come Israele – con le pagine della parola di Dio.
Geremia non è un profeta che fa prodigi, ma parte dalla coscienza timida e discreta «di aver udito una voce e di essere lui stesso soltanto una voce. Non fa miracoli, non compie guarigioni, non risuscita i morti… è un uomo che parla e basta» (142).
Il volume Geremia. Una voce profetica nella città raccoglie le meditazioni che Carlo Maria Martini ha tenuto per il clero venzuelano nel 1993. La sensibilità del gesuita arcivescovo di Milano incontra la passione del grande profeta e ci lascia con una serie di meditazioni toccanti e profonde che parlano non soltanto al clero, ma a tutte le persone che vivono la fatica di sostenere la parola di Dio, i suoi silenzi e la loro incomprensibilità.
Nella bottega del vasaio
La prima immagine che Martini considera come principio e il fondamento della visuale del profeta è «la bottega del vasaio». Al profeta viene rivolta la parola: «Prendi e scendi nella bottega del vasaio; là ti farò udire la mia parola». Lì il profeta medita il lavoro del vasaio che modella l’argilla come vuole e la docilità della creta nelle mani dell’artigiano.




È un tema che ci ricorda la nostra creaturalità, un tema massimamente attuale in un’epoca in cui ben più dell’epoca di Geremia abbiamo perso il senso del limite e della creaturalità. «Si tratta di un concetto legato al tema della creazione. Quando l’uomo smarrisce il senso della creaturalità, impazzisce, vuole rovesciare le parti, pretende di dire a Dio come deve agire (come un vaso che dice al vasaio: tu non capisci!)» (29).
La brocca spezzata
Un’altra immagine sviluppata da Martini è quella della brocca spezzata dove identifica tre mali che rompono la brocca della nostra umanità e la corrompono, attanagliando così le nostre città e comunità.
I tre vizi evidenziati, quale «triade diabolica» sono l’incredulità, l’idolatria e la disumanità.

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L’incredulità può essere una fede che oscura Dio nella pratica. È un ateismo pratico e «si tratta del non riconoscere nella mia vita quotidiana la signoria di Dio» (53).
L’idolatria non è necessariamente adorazione di idoli, ma è l’adorazione del successo, del piacere, del potere ad ogni costo. Martini osserva che «le grandi città odierne sono mosse da questi “dèi”» (54).
La disumanità, infine, è la desensibilizzazione verso il prossimo.
Martini osserva che il peccato più denunciato e respinto con orrore da Geremia è sorprendentemente la disumanità. «La città secolare spesso non si rende conto che il disprezzo del fratello, l’odio per l’altro, hanno come radice l’idolatria, cioè l’adorazione di sé, del proprio progetto, l’adorazione del denaro e del successo» (54).
Il contrario di questa triade sono le beatitudini. Le beatitudini ci richiamano a un vivere che parte dalla vita personale perché «la città secolare è dentro di noi» (58).
Le beatitudini partono dal “vangelo” dell’amore appassionato di Dio per l’uomo che si esprime con un’altra immagine, quella della cintura di lino che costituisce un altro oracolo incantevole in Geremia: «Come aderisce la cintura ai fianchi di un uomo, così io volli che aderisse a me tutta la casa d’Israele e tutta la casa di Giuda – parola del Signore – perché fosse mio popolo, mia fama, mia lode e mia gloria, ma non mi ascoltarono» (Ger 13,11).
Dio vuole un’alleanza nuziale con l’uomo e l’alleanza, secondo una suggestiva sintesi di Martini è «la Trinità proiettata nella storia» (68).