«Il cuore del bambino… il bimbo è morto, capitano. È morto nel grembo». Così sentenziava uno dei medici al padre di quella che sarà Elisabeth Catez, la futura santa carmelitana Elisabetta della Trinità. Lo strumentario che avevano allora, infatti, non riusciva a sentire alcun battito deducendo che l’embrione fosse morto in grembo.
Ma mentre la preoccupazione di tutti era quella di espellere il corpo morto per non avvelenare la mamma, quest’ultima, Marie, voleva «quel bambino che non voleva esistere».
Sono queste le prime drammatiche battute dell’esistenza di Elisabeth, casa di Dio, come vuol dire il nome ebraico. Quella ragazza che scoprirà la propria vocazione teologica come casa della Trinità. A questa santa, che verrà canonizzata proprio domenica 16 ottobre, Didier Decoin dedica una biografia in forma di racconto biografico narrato dall’autore a Elisabeth stessa con il titolo Elisabeth Catez. Sainte Elisabeth de la Trinité edito da Editions du Cerf.
Prendendo spunto dai nomi dei genitori, Joseph e Marie, l’A. scandisce la narrazione a ritmo “evangelico” da Betlemme alla Golgota, passando per Nazareth, la presentazione al tempio, la tentazione nel deserto, l’ingresso a Gerusalemme, l’ultima cena, il Getsemani e, appunto, la Golgota.
Non solo la mamma, ma Dio stesso, «Dio sceglie la vita, Elisabeth. Senza dubbio perché Dio aveva da sempre scelto di avere bisogno di te». La bimba nasce con una tenacia per la vita, per la Vita, che la contraddistinguerà.
Il bimbo creduto morto «si rivela una fanciulla vivace, anzi, pimpante di vita. I medici non si capacitano di capire come il tuo cuore, che si era fermato, si è sorprendentemente rimesso a battere».
Prima di addentrarci in alcune considerazioni sulla santa, giova segnalare due aspetti che risaltano subito nella narrazione di Decoin: l’empatia narrativa e la collocazione pluridimensionale della biografia della giovane Catez. L’expertise letteraria dell’appartenente all’academie Goncourt è messa a disposizione per tracciare una biografia che non è fatta di informazioni, ma di profumi, immagini e di sensazioni.
Un momento interessante della vicenda della «presentazione al tempio» di Elisabeth, ovvero, del suo primo contatto con il Carmelo è l’incontro con Mère Marie de Jésus. La Mère spiegherà a Elisabeth il senso del suo nome: «Così si chiamava la cugina della Santa Vergine… sapete cosa vuol dire Elisabeth in ebraico?».
La giovane non sapeva ancora il significa del suo nome.
«Casa di Dio – le spiegò la priora –. Casa di Dio. Ecco il significato del vostro nome».
Prima del congedo la priora consegnerà a Elisabeth un’immagine con scritto a mano accanto a una delle massime di Teresa d’Avila: «Il tuo nome benedetto cela un mistero che si compie in questo bel giorno. Bambina, il tuo cuore è sulla terra CASA DI DIO, del Dio d’amore».
Il cammino di innamoramento avanza a passo celere e con esso il desiderio di consacrazione totale nelle nozze del sì religioso al Carmelo. Lo testimonia questo poema di Elisabeth:
Jésus, de toi mon âme est jalousie,
Je veux bientôt être ton épouse.
Avec toi je veux souffrir
Et pour te trouver mourir.
L’essere sposa di Cristo per lei passa per il desiderio del Carmelo, della consacrazione verginale obbediente e povera, dedita giorno e notte alla meditazione della parola di Dio e della preghiera.
Je veux être au Carmel,
C’est mon voeu éternel.
Il mondo ha perso per lei ogni attrattiva. Ogni sua realtà è menzogna. Ciò che la attira è solo Dio.
Triste monde séducteur
A l’esprit faux et trompeur,
Je voudrais te dire: adieu
Et être toute à mon Dieu.
L’autore analizza anche lo stato di aridità spirituale in cui passa Elisabeth prima dell’ingresso al Carmelo distinguendo tra crepuscolo e notte spirituale. La sua, infatti, è un crepuscolo spirituale, una specie di «notte dei sensi» per utilizzare il gergo di Giovanni della Croce. Elisabeth dirà descrivendo il suo stato: «Sono diventata insensibile come un ceppi di legno».
Decoin distingue l’esperienza della notte spirituale in cui passa Thérèse di Lisieux da quest’aridità, meno atroce, in cui passa Elisabeth. Quello che succede nell’ultima esperienza è che la persona non perde la fede, ma perde la dolcezza e la lucentezza di cui godeva la sua fede.
La notte però non manca. Di essa Decoin parla nel capitolo La dernière Cene, confrontando e leggendo l’esperienza di Elisabeth alla luce di quella di Thérèse e di Giovanni della Croce.
Mentre la descrizione di Thérèse è espressione di disperazione e di semplicità, quella del Doctor Mysticus  sottolinea il paradosso della maggiore presenza di Dio dove sembra mancare la luce proprio per l’eccedenza della luce.
«L’amore di Dio è diverso da tutto ciò che è conosciuto… che le nostre facoltà umane, incapaci di supportare la tensione sono immerse nelle tenebre le più oscure. Davanti a Dio, l’anima è accecata dall’eccesso di luce. La tenebra è una oscura visione di Dio».
La narrazione di Decoin prosegue riportando l’ultimo periodo della vita di Elisabeth fino al processo di canonizzazione che culmina domenica 16 ottobre 2016 con la sua elevazione all’onore degli altari in piazza san Pietro.


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