In
quel tempo, Gesù, quando ebbe terminato di rivolgere tutte le sue parole al
popolo che stava in ascolto, entrò in Cafàrnao.
Il
servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva
molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei
Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Costoro, giunti da Gesù,
lo supplicavano con insistenza: «Egli merita che tu gli conceda quello che
chiede – dicevano –, perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la
sinagoga».
Gesù
si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa, quando il
centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non disturbarti! Io non sono
degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono
ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito.
Anch’io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di
me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e
al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».
All’udire
questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: «Io vi
dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». E gli inviati,
quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito.
1Cor
11,17-26.33 Sal 39 Lc 7,1-10
Luca
presenta vari episodi che mostra come i “lontani” siano destinatari
privilegiati del vangelo. Così è del centurione che fa una professione di fede
chiamando Gesù «Signore». Un titolo con cui riconosce l’autorità – e probabilmente
la divinità – di Gesù. Ma la fede del Centurione contiene altre tre sfumature
che sollecitano la nostra fede: egli ama; egli non si sente degno e in diritto
di avere il favore di Dio, quindi lo accoglie con umiltà come pura grazia; e il
terzo aspetto, non tanto evidente, è che scopre la fede partendo dalle analogie
della sua vita. Un “trucco” che facciamo bene a imitare perché le prime e le più
efficienti catechesi sono celate nelle pieghe e nelle particolarità della
nostra quotidianità.