In quel tempo, Gesù stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. C’era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta.
Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia». Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio.
Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, prese la parola e disse alla folla: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato».
Il Signore gli replicò: «Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?».
Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute.

Rm 8,12-17   Sal 67   Lc 13,10-17


«Nominare Dio invano» non è solo pronunciare il nome di Dio in modo inopportuno, è anche fare di Dio l’alibi per far torto alla sua immagine, l’uomo. Le norme della Legge sono tutte per esaltare e far fiorire la dignità filiale dell’uomo e per metterlo in contatto più intimo con Dio. Chiudere il cuore alla misericordia è frapporre il giorno del Signore come ostacolo tra l’uomo e Dio. In nome del Misericordioso ci si astiene dall’esercitare la misericordia. Come cristiani, non ci dobbiamo sentire esonerati dall’onere di questo vangelo, ma dobbiamo chiederci: oggi, quale norma – in nome di Dio – si sta mettendo tra me e Dio?