Cinque sfumature che fanno la differenza in vacanza (3/6) 

[La parte precedente è qui]


Ormai siamo tutti fotografi. Vai alla recita dei figli e devi dire mille giaculatorie per non mandare a quel paese quei genitori che, piazzatisi davanti a te, riprendono il loro tesoro con un gigante tablet da 42 pollici oscurandoti la vista. In qualsiasi momento speciale, si improvvisano diecimila fotografi che riprendono freneticamente istantanee più o meno riuscite (pensa ad esempio al passaggio del papa in piazza san Pietro, ormai, poverino, nessuno lo guarda, tutti voglio il selfie col papa!). Un giorno, vedendo la frenesia delle snapshot, mi è venuto questo pensiero: siamo persone che scattano snapshot per ricordare momenti che non hanno vissuto.

È bello avere foto per ricordare le cose… ma le cose che uno ha vissuto… non quelle che, proprio per fotografarle, se le è fatte scappare! Questa dinamica, non è solo fotografica, e per questo ne parlo. La seconda parola che vorrei canonizzare, infatti, è il ricordare, il riportare al cuore, l’avere una storia di cui essere grati, l’avere memorie e momenti che costituiscono il mosaico della nostra identità nella nostra memoria. Il nostro passato è lo stelo da cui sboccia il nostro presente e la radice del nostro fu-turo.

Quando Dio “andò in vacanza” in Genesi 1, ha portato con sé i suoi ricordi, ha guardato a tutto ciò che aveva fatto e vide che era cosa molto buona. Il «tov me‘od» di Gen 1,31 dice allo stesso tempo: molto buono e molto bello. Dio non si è svuotato in Genesi 1, ma ha riempito il cuore con la bontà del suo operato. Non si è tanto riposato dalla creazione, ma nella creazione. (In questo paragrafo chiedo venia ai teologi di professione per le licenze poetiche).

Una seconda domanda che affiora allora è: come guardo alla mia vita “normale”? ho lo sguardo del Dio di Genesi 1 che bene-dice? O lo sguardo di Giobbe che male-dice la propria vita?

a domani per la terza sfumatura :)