In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli
lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E
molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste
cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli
compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il
fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non
stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non
nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere
nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si
meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.
Ez 2,2-5 Sal
122 2Cor 12,7-10 Mc 6,1-6
Chiesero un giorno a un saggio anziano del deserto quale
fosse il pericolo più grande per la vita monastica. La risposta fu: «La
familiarità». C’è una familiarità positiva, fatta di conoscenza assetata che
rimane in ascolto, ma c’è una familiarità che vive di pseudo-conoscenza, di
mancanza di ascolto e di pregiudizi. È una familiarità che spegne i sensi e
diventa disattenta alla continua epifania ed evoluzione dell’altro. È successo
con i compaesani di Gesù, incapaci di vedere nelle mani del figlio del
falegname la potenza divina del Figlio di Dio e nella lingua del figlio di
Nazaret il Verbo divino del Padre che è nei Cieli. Capita anche a noi quando i
nostri occhi inspiegabilmente si abituano al bagliore umile delle Luce. Capita quando
ci desensibilizziamo ai messaggi e messaggeri di Dio che sono i nostri compagni
di strada.