«Nel giorno del Signore, riuniti, spezzate il pane e rendete grazie dopo aver confessato i vostri peccati, affinché il vostro sacrificio sia puro. Ma tutti quelli che hanno qualche discordia con il loro compagno, non si uniscano a voi prima di essersi riconciliati, affinché il vostro sacrificio non sia profanato. Questo è infatti il sacrificio di cui il Signore ha detto: “In ogni luogo e in ogni tempo offritemi un sacrificio puro perché un re grande sono io – dice il Signore – e mirabile è il mio nome fra le genti”».
Il suddetto testo tratto dalla Didaché si riferisce alla celebrazione regolare dell’eucaristia nel giorno di domenica, dato che già nel NT l’espressione “spezzare il pane” designa l’eucaristia. Visto che la redazione finale della Didaché risale, secondo la maggior parte degli studiosi, intorno all’ottanta dopo Cristo, possiamo suppore che queste affermazioni possono risalire a non oltre l’anno cinquanta dopo Cristo. Esse costituiscono perciò – oltre la tradizione canonica dei vangeli e delle lettere paoline –una delle più antiche affermazioni riguardo alla celebrazione della cena del Signore.


Già a partire dalla tradizione canonica, la celebrazione dell’eucaristia getta le sue radici nell’ultima cena di Gesù con i discepoli e nella preghiera di ringraziamento pronunciata dal Signore sul pane e sul vino in quell’occasione. In quel contesto, Gesù capovolge e reinterpreta la logica sacrificale del «capro espiatorio» trasferendo il suo fulcro e punto focale dalla violenza al dono (cf. René Girard). Parlando del dono della vita di Gesù, Helmut Hoping spiega che «la morte di Gesù non riguarda un Dio che, come un sovrano, esige un sacrificio umano per la soddisfazione. Si tratterebbe, in questo caso, di un Dio violento, che non meriterebbe nessuna fede. Non è l’uomo che riconcilia Dio con se stesso, offrendogli un sacrificio, ma è Dio che ha riconciliato l’uomo con sé_ “Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo” (2Cor 5,19)». In altri termini, l’eucaristia non esprime il tentativo disperato dell’uomo per appacificare Dio, ma è il dono stabile e sicuro – "fino alla fine dei tempi" – di Dio stesso che rompe in Cristo il muro di separazione gettando nel pane il ponte della speranza. Per questo l’eucaristia racchiude sacramentalmente tutto il mistero della salvezza. Non stupisce allora l’onnipresenza della celebrazione eucaristia e della riflessione teologica attorno ad essa lungo tutta la storia della Chiesa.
Seppure l’eucaristia costituisca il cuore pulsante della fede, tante sono le domande che girano intorno alla sua realtà: in che senso il pane e il vino sono corpo e sangue di Cristo? Cosa distingue la comprensione cattolica dell’eucaristia da quella protestante? Perché i cattolici usano pane azzimo, mentre gli ortodossi pane lievitato per celebrare l’eucaristia? Cosa si intende per transustanziazione? Nel suo volume Il mio corpo dato per voi.Storia e teologia dell’eucaristia, il teologo tedesco Helmut Hoping non offre semplici risposte ad hoc, ma una vera e propria enciclopedia sulla cena del Signore che ingloba in un unico sviluppo tematico le dimensioni storica, liturgica e teologica dell’eucaristia. Il teologo infatti è convinto dell’inseparabilità tra lex orandi e lex credendi ovvero dell’inscindibile circolo ermeneutico tra liturgia e dogma. Lungi dall’essere un «modesto contributo» come l’autore stesso definisce la sua opera, il volume costituisce un ricco e documentato punto di rifermento sul sacramento dei sacramenti, il mistero della presenza reale di Cristo in mezzo a noi. A ragione madre Teresa diceva: "Se vuoi vedere quanto Dio ti ha amato, guarda la croce; se vuoi vedere quanto Dio ti ama, guarda l'Eucaristia".