In quel tempo, Pietro si voltò e vide che li seguiva quel
discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e
gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». Pietro dunque, come lo
vide, disse a Gesù: «Signore, che cosa sarà di lui?». Gesù gli rispose: «Se
voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi». Si
diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto.
Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che egli
rimanga finché io venga, a te che importa?».
Questi è il discepolo che
testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza
è vera. Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero
scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i
libri che si dovrebbero scrivere.
At 28,16-20.30-31 Sal 10
Gv 21,20-25
C’è un rapporto sottile, non di
rado frainteso, tra fede e sapere. Sbaglia chi oppone fede e conoscenza
assumendo come motto il credo quia absurdum (credo perché è assurdo), e
sbaglia chi fa della fede un vano cumulo di sapere nozionistico e informativo. T.S.
Eliot ci invita a domandarci: «Dov’è la sapienza che abbiamo perso nella
conoscenza? Dov’è la conoscenza che abbiamo perso nell’informazione?». Sono
domande che ci spingono verso un sapere saporito, e verso un’informazione
trasformativa che diventa profonda conoscenza e sapida sapienza. A Pietro, Gesù
propone il vero sapere della fede: quello della sequela. Chi cammina dietro alla
Sapienza incarnata, diventa sapiente della follia della Croce e del logos della
Risurrezione.