In
quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Ascoltate
un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una
vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì
una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Quando
arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a
ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un
altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più
numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.
Da
ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio
figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede.
Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori
dalla vigna e lo uccisero.
Quando
verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli
risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna
ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
E
Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
“La
pietra che i costruttori hanno scartato
è
diventata la pietra d’angolo;
questo
è stato fatto dal Signore
ed
è una meraviglia ai nostri occhi”?
Perciò
io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne
produca i frutti».
Udite
queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro.
Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un
profeta.
Gen
37,3-4.12-13.17-28 Sal 104 Mt 21,33-43.45
I
valori della vita si scombussolano quando da affidatari della nostra esistenza
diventiamo proprietari unici e punto di riferimento finale. Con quest’illusione
progettiamo un’esistenza autoreferenziale che si preclude perversamente i propri
orizzonti di respiro e di bellezza. La parabola di oggi mette in contrasto, da
un lato, la graziosità e l’umiltà del Padrone che – con tanta cura – pianta,
protegge e cura la vigna, dall’altro lato, l’ingratitudine e l’altezzosità dei
vignaioli. La fede è questione di riconoscenza e di riconoscimento. Crede
davvero chi riconosce che noi esistiamo non perché pensiamo (anche se lo dice
Descartes), ma esistiamo perché siamo “donati”, anzi siamo “a-donati” come la
mette il filosofo francese Jean-Luc Marion: siamo donati a noi stessi e
realizziamo noi stessi quando diventiamo dono, quando rispondiamo all’Amore
dando un frutto d’Amore.