In
quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un
alto monte, in disparte, loro soli.
Fu
trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime:
nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro
Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a
Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una
per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano
spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una
voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente,
guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre
scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano
visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi
tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai
morti.
Gen
22,1-2.9.10-13.15-18 Sal 115 Rm 8,31-34
Mc 9,2-10
Ci
capita di sperimentare momenti di dolce e trasfigurante intimità con il
Signore. Ci capita di desiderare di passare la vita in quei sentimenti e in
quello stato d’animo. Ma la vita spirituale non segue la logica della bulimia
di emozioni. Il vangelo di questa domenica ci ricorda che l’esperienza della
trasfigurazione è un momento di ristoro in cui il Signore ci fa pregustare l’eternità,
invitandoci però a scendere dal monte e a impegnarci a trasfigurare la storia. La
trasfigurazione è anche un memento: ricordare che il Cristo sfigurato con il
quale facciamo il lavoro del Cireneo, è lo stesso Cristo trasfigurato che «fa
nuove tutte le cose». Questo Cristo, sfigurato e trasfigurato, è il Figlio
Amato del Padre, la Parola che dobbiamo ascoltare e far risuonare nelle nostre
esistenze.