Nella preghiera del Pater, ogni giorno e più volte al giorno, un immenso numero di cristiani invoca la venuta del regno di Dio. Nondimeno, quest’invocazione rimane spesso una vaga evocazione che non si collega ad alcuna immagine o concezione. Cosa significa regno di Dio? Il libro di Gerhard Lohfink, Gesù di Nazaret. Cosa volle – Chi fu edito dalla Queriniana offre a più riprese nei suoi venti capitoli degli elementi che ci permettono di chiarire meglio questo concetto, anzi, questa realtà.
Tanto per cominciare, la traduzione che rende meglio la parola «malkhutha» è «sovranità di Dio» (Herrschaft) piuttosto che «regno di Dio». La sovranità si collega a una dimensione personale e solo in un secondo momento è una dimensione spaziale. «La sovranità di Dio ha un carattere evenemenziale. È un evento. Essa “viene” o, rispettivamente, “sta per arrivare”».
Non bisogna confondere la formulazione matteana «regno dei cieli» con una localizzazione celeste del “regno di Dio”. Essa è piuttosto un’espressione prettamente giudaica per parlare in modo riverente di Dio e per evitare di pronunciare il nome di Dio.
Nel NT l’annuncio del regno di Dio fatto da Gesù è escatologico, ma questo non implica che è annuncio di una realtà remota o solamente ultimativa. Le “realtà ultime” non avvengono in un lontano futuro, ma in un tempo prossimo. Esse sono vicine, investono da vicino l’uomo. «Il regno di Dio è in mezzo a voi».
La prima parola di Gesù all’inizio del vangelo di Marco è già programmatica: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete al vangelo» (Mc 1,15). Il cuore della proclamazione non è tanto la conversione, quanto la prossimità di Dio. La conversione «è piuttosto una conseguenza della salvezza, che è già presente: il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino. All’inizio c’è quindi, come avviene abitualmente nella Bibbia, l’azione di Dio, non l’azione dell’uomo. Dio ha preso l’iniziativa, Lui soltanto dona il regno di Dio. Il compito del popolo di Dio consiste nel dare una risposta a tutto ciò. L’azione di Dio rende possibile l’azione dell’uomo».
Dio si è espresso pienamente in Gesù, Gesù è il regno in persona, l’auto-basileia. È «la presenza definitiva di Dio nel mondo. Chi lo vede, vede il Padre (Gv 14,9)». In lui il regno di Dio è già presente. «Il “non ancora” del regno di Dio non dipende perciò dal temporeggiamento di Dio, ma dalla conversione dell’uomo che tarda ad arrivare. L’uomo non vuole avere Dio troppo vicino. Preferisce le danze delle sue proprie nozze a quelle delle nozze a cui Dio lo invita».
L’uomo intralcia questa manifestazione di Dio che si appella alla sua libertà e alla sua corrispondenza, non soltanto quando lo relega in un lontano futuro o addirittura fuori dal tempo, ma anche quando lo condanna all’inazione negandogli un luogo.
L’inizio del regno si concretizza in un cammino di sequela e di imitazione di Cristo. La sequela nei vangeli è concretezza. È interessante quanto nota Lohfink riguardo all’utilizzo del verbo “seguire” nel NT: esso «non ricorre mai in forma di sostantivo (akolúth­esis), ma sempre e solo in forma di verbo (akolúthêin). Cioè nei vangeli non troviamo una sequela astratta. Essa non vi compare come un concetto intellettuale o come qualcosa di puramente esteriore, ma solo e sempre come evento concreto, visibile e tangibile».
Seppure Gesù faccia uso di immagini apocalittiche, egli non era un apocalittico. Non aveva un sistema apocalittico e «soprattutto non è non è mai caduto nel dualismo di molti apocalittici, quindi nel sistema dei due mondi, che seguono l’uomo all’altro e che sono tra loro nettamente divisi». Anzi, Gesù parlava del momento presente, di una conversione che deve avvenire ora perché «il regno di Dio è vicino». Inoltre, la sua descrizione del regno avveniva con l’aiuto di un mondo che i suoi ascoltatori hanno quotidianamente sotto gli occhi. Questo evidenzia qualcosa nella natura del regno che «si invera già adesso in mezzo all’ambiente abituale, noto e quotidiano dell’uomo. Non viene con un frastuono apocalittico, mediante una grande e irresistibile azione di Dio, ma nel modo in cui una pianta di senape diventa grande».
Dov’è il regno di Dio? È lì, nel nascondimento, nelle cose piccole, nel dettaglio. Non è vero che il diavolo sta nei dettagli, è la santità, è Dio che sta nei dettagli, nella fedeltà e nella coerenza di vita che diventa un habitus di grazia e di graziosità. «Il regno di Dio – spiega il teologo tedesco – cresce nel nascondimento, nel piccolo, nell’inappariscente, perché Dio vuole che il vecchio mondo si trasformi liberamente nel suo regno. Gesù descrive nelle sue parabole della semina una rivoluzione silenziosa, e il suo simbolo migliore è la crescita. Essa si realizza nel silenzio. Ciò che cresce non fa rumore».
Il regno di Dio, infine, è un’esperienza che riguarda tutto l’uomo. È un’esperienza di redenzione che non riguarda solo la mente e le virtù, ma è una trasfigurazione dell’esperienza del mondo e della materia. «Nulla deve essere risparmiato. La redenzione riguarda tutta la creazione. La storia della rivelazione non è stata una progressiva demondanizzazione, ma un’incarnazione sempre più completa, una compenetrazione sempre più profonda del mondo con lo spirito di Dio. Dio è fisicamente venuto vicino all’uomo in modo benefico».
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Oltre alle preziose pagine di teologia della «sovranità di Dio», il libro di Lohfink fa parte di quei contributi preziosi alla Leben Jesu Forschung (la ricerca del Gesù storico) perché esce dalla malata ermeneutica del sospetto che cerca Gesù contro i vangeli e si inserisce nel solco dell’unica ricerca storicamente e teologicamente feconda, quella della ricerca di Gesù con i vangeli.