Parte male la Parola questa volta parlandoci di “sottomissione”. Un termine démodé che va proprio contro la libertà-ad-ogni-costo e contro l’«io sono il capitano del mio destino». Eppure la Parola non si lascia sviare dalle mode e dai gusti e punta verso l’essenziale sapendo che non c’è uomo più schiavo di colui che è prigioniero di sé, delle proprie sregolatezze, del proprio libertinaggio e della propria irascibilità.
Senza mezzi termini, la Parola ci mette dinanzi a questi paradossi:
- solo sottomettendoci a Dio giungiamo alla nostra vera autonomia;
- solo rinunciando alla nostra volontà propria, varchiamo la soglia della nostra vera volontà;
- solo intonandoci al canone del Bene cantiamo l’inno della nostra libertà.
Questa libertà liberata per il cristiano nasce da un grembo unico: quello della donazione Figlio di Dio che ha assunto la figura di servo per darci la dignità di figli.
Il cammino della riacquisizione della fiducia per sottomettersi passa attraverso «la rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo» che ci apre gli occhi al riconoscimento della bontà di Dio che si manifesta in Cristo, nostro buon Pastore. E così sboccia il canto di ringraziamento, l’Eucaristia che ci libera dalla lebbra della solitudine, dell’ingratitudine, della cecità e dell’illusione che siamo frutti del caso e vittime del non-amore.

E poi, infondo infondo, a cosa sono invitato a «sotto-mettermi» se non allo sguardo amante di Cristo che «mi ha amato e ha dato se stesso per me»?