“Non c’è peggior ladro di noi che noi stessi” (Teresa d’Avila). Questa frase della riformatrice del Carmelo ci fa capire la grave importanza del «vegliare» al quale siamo chiamati. Nessuno può sciuparci la nostra vita più di noi stessi. La Parola alla fine dell’anno liturgico ci raccomanda – a mo’ di testamento – due atteggiamenti complementari: «vegliare e pregare». 
Bisogna vegliare perché abbiamo il nostro Tesoro in vasi di creta; e dobbiamo pregare, rimanere uniti all’Amato in questa traversata in cui impariamo – come insegna eloquentemente il poeta William Blake – a “sopportare i raggi dell’Amore”!! 
Veglia chi ama, chi è in-amorato, ovvero invaso dalla presenza dell’Amato. Chi ama veglia nel cuore anche quando il corpo dorme. 
Prega chi riconosce che l’opera di Dio, la può compiere Dio solo. Prega e veglia chi accoglie l’esistenza con “filosofia mariana”, con attiva passività, facendosi grembo della generazione dell’opera di Dio, grembo dell’incarnazione del Verbo.