Mi colpisce nel Vangelo di oggi (Lc 11,5-13), la fiducia e l'insistenza alle quali ci invita Gesù quando preghiamo. Sono due aspetti che sembrano contraddittori. Da un lato, Gesù ci assicura che il Padre - da buon Padre! - ci esaudisce. Dall'altro, ci invita all'insistenza, quasi come se Dio fosse un amico pigro o un giudice ingiusto (sic!). 
Come si conciliano queste due dimensioni apparentemente opposti? 
- Nel cuore dell'uomo. Nel nostro cuore, anche da credenti, convivono continuamente due immagini di Dio: il Padre e il padrone. Il nostro cuore è il campo di battaglia dove si tirano le somme tra fede e incredulità, tra Vangelo e residui di paganesimo, ferite d'infanzia e di autoritarismo (genitoriale, scolastico, lavorativo, relazionale, ecc.).
Nel Vangelo, la battaglia è già vinta e decisa. Dio è "Padre nostro" (il Vangelo di ieri). La sua paternità mi invita a non accostare la preghiera (anche quella di domanda) come se fosse un'opera di acribia mercantile, quasi volendo convincere Dio dell'opportunità di vendermi i suoi favori. Dio dà se stesso, tutto se stesso (e i tre pani sono stati interpretati da sant'Agostino come allegoria trinitaria). La paternità di Dio ha le mani bucate, basta accostarsi al trono della Grazia per essere esauditi:

1 O voi tutti assetati, venite all'acqua,
voi che non avete denaro, venite,
comprate e mangiate; venite, comprate
senza denaro, senza pagare, vino e latte.
2Perché spendete denaro per ciò che non è pane,
il vostro guadagno per ciò che non sazia?
Su, ascoltatemi e mangerete cose buone
e gusterete cibi succulenti.
3Porgete l'orecchio e venite a me,
ascoltate e vivrete. (Is 55)