Abramo, libertà, limiti
Si racconta che un uomo di Bagdad, soffrendo di grande povertà, dopo aver elevato la preghiera a Dio chiedendo aiuto, sognò che un grande tesoro fosse nascosto in una zona precisa in Egitto. L’uomo intraprese il lungo e tortuoso viaggio verso quel luogo. Giunto lì, lo catturò
una pattuglia di guardie e lo frustrò severamente credendolo un ladro. Rammentando che la verità è un rimedio, l’uomo decise di confessare il vero motivo che lo portò in Egitto. Le guardie credettero al suo racconto e uno di loro gli disse: «Tu non sei un ladro, ma sei sicuramente un folle per viaggiare tutta questa distanza soltanto perché hai creduto in un sogno. Io stesso, e ben più di una volta, ho sognato che in tale zona e tale via di Bagdad ci fosse un tesoro, ma non fui mai così stupido da andare lì!». Ora quella zona precisa di Bagdad non era altro che la casa dell’uomo indigente, il quale fece subito ritorno a casa sua e trovò il tesoro che mise fine alla sua povertà... (Jalal ed-Din el-Rumi, Mathnawi)

Marc Anthony era il quarterback più famoso del momento. Aveva trascinato la sua squadra, i Buffalo Rangers, fino al Super Bowl. Tutti stravedevano per lui, ma in modo particolare era legato al suo vecchio allenatore, Edmond. Era merito suo se era diventato quello che era ora: lui lo
aveva notato in un anonimo campetto di una high school dell’Arizona, lui aveva intravisto le sue qualità di cui nessuno si era accorto, sempre lui gli era stato a fianco nei turbolenti momenti della crescita; quante volte lo aveva recuperato ubriaco dal pub o lo aveva tolto da risse pericolose fino a dargli preziosi consigli, frutto della sua esperienza, anche in campo sentimentale.
Era per lui come un padre.

-Hei Ed allora tra tre giorni c’è la finale, ci giochiamo il tutto per tutto – gli disse Marc Anthony al termine dell’ennesimo estenuante
allenamento. Stranamente Ed, così lo chiamavano tutti, non disse niente se non un laconico “Vieni nel mio ufficio dopo la doccia”. Da tempo Ed sapeva che sarebbe arrivato quel momento, che anche lui attendeva con timore e tremore: mancava qualcosa nella formazione di Marc Anthony per poterlo trasformare in un campione vero, uno di quelli di cui si continua a parlare anche dopo molte generazioni… Ma non sapeva se lui era pronto, se era in grado di reggere la prova. Mentre rimuginava tra sé, Marc Anthony bussò alla porta del suo ufficio.
Preso il coraggio a due mani Ed disse: - Ho deciso che non ti farò giocare la finale, ma starai tutti il tempo in panchina – Marc rimase di ghiaccio, un nodo gli serrava la gola e i pugni si strinsero irrigidendo le vene dei possenti avambracci, ma non disse nulla e uscì.
La domenica della partita tutta la nazionale era incollata alla televisione: lo stadio Kennedy di Chicago era pieno all’inverosimile e
tutti i commentatori sportivi erano letteralmente impazziti al vedere Marc Anthony in panchina… Lui seduto con la visiera abbassata e le strisce nere sotto gli occhi non diceva nulla: muto assisteva al massacro della sua squadra disorientata quanto lui dalla scelta di Ed, che nessuno aveva avuto però il coraggio di contestare.
Al quarto inning erano sotto 15 punti, ci sarebbero volute tre mete impossibili da fare in così poco tempo. La delusione e la rabbia dei
tifosi in era a livelli massimi. Ed, all’improvviso, fermò il gioco richiamando la squadra alla panchina: - Entra è il tuo momento, fai vedere a tutti quanto vali! – Marc Anthony senza dire una parola, ma con gli occhi gonfi di lacrime, scese in campo e trascinò la squadra nella vittoria più memorabile che il campionato ricordi…» (Marco Tebaldi, Il codice Abramo).