Una dimensione importante
dello stile teologico
Robert Cheaib
«La Bibbia è fondamentalmente un
libro serio; eppure, come molti capolavori della letteratura, essa lascia
filtrare al suo interno la leggerezza del sorriso». Un volto serio della
teologia non può non includere il sorriso ironico e assolvente dinanzi alla propria
incapacità di inglobare e dire l’Assoluto. L’ironia si presenta quindi come
patrimonio necessario e salutare dell’impresa teologica. L’ironia si manifesta
come «il pudore della verità» (V. Jankélévitch).
Il volume di Sergio Gaburro, L’ironia,
“voce di sottile silenzio”. Per un’ermeneutica del linguaggio rivelato,
Edizioni San Paolo, offre una prima elaborazione teologica dell’ironia
cogliendone la pertinenza intrinseca alla rivelazione. L’ironia esprime la
presa di coscienza del limite e segnala quindi una certa maturazione
nell’espressione teologica. Per utilizzare un’espressione di Elmar Salmann
«l’Assoluto ci assolve dall’essere assoluti», e l’ironia è una messa in pratica
di tale sapienza del limite. Inoltre, l’ironia svolge una funzione profetica,
le va riconosciuta – secondo Gaburro - «
va riconosciuta una vocazione destabilizzante e anti-idolatrica».
L’ironia custodisce il pudore e
la differenza dell’altro e protegge da un’apostasia peggiore dell’ateismo che è
quella di annullare la differenza, faceondo diventare l’A(a)ltro proiezione
di se stessi, «un idolo costruito per parlare a piacimento, dove la sua parola
non è altro che una parodia di quella reale». Con l’ironia si dimora nel
paradosso rendendo possibile l’apertura di una fessura verso il Mistero.
L’ironia, per dirla brevemente, è
essenziale alla teologia, al riconoscimento della sua pertinente dimensione
apofatica. «La teologia ha a che fare con il Mistero che non si esaurisce nella
sua soluzione teologica, ma mantiene un resto, e proprio questo resto è ciò che
conta».
L’intento della riflessione
teologica che integri l’ironia è quello di far uscire la riflessione teologica
dal guscio delle certezze emotive e dalle mura sicure delle evidenze fabbricate
verso la propria «vocazione di nomade», imparando ad abitare la tenda della
provvisorietà nella quale può ospitare Dio, restando suo ospite, e accogliendo
il Mistero senza impadronirsene.
Strutturalmente, il libro di
Gaburro si divide in quattro parti. Nel primo capitolo si accenna al paesaggio
dell’ironia nella sua «vocazione di mantenere contemporaneamente il rapporto e
la distanza». Nel secondo capitolo si osserva il ricco paesaggio biblico da cui
trapela il volto veterotestamentario dell’ironia. È un volto doppio di ironia
verbale e di situazione. L’ironia permette al lettore di incrociare il detto
del testo con il non detto al quale rinvia. Mentre il terzo capitolo
è dedicato al NT. L’ultimo capitolo è dedicato alla presentazione del valore
ermeneutico dell’ironia e la sua fecondità capace di aprire anche alla teologia
uno spiraglio salutare.