Da Johann Adam Möhler al Concilio Vaticano II

Robert Cheaib
Anche se le celeberrime parole sulla Chiesa che aprono la Lumen Gentium non costituiscono una definizione vera e propria della Chiesa, è chiaro che tocchiamo – come nota Heribert Mühlen – una delle corde dominanti della Costituzione. «La Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1).
L’espressione conciliare sottolinea il rapporto intimo sussistente tra il Cristo e la Chiesa e invita a un approfondimento del nexus mysteriorum e del parallelismo tra il mistero dell’incarnazione e il mistero della Chiesa, tra cristologia ed ecclesiologia. Tale acquisizione conciliare può risalire alla geniale corrente intuita ed approfondita dal grande teologo di Tubingen, Johann Adam Möhler.
Nella sua opera La Chiesa «continua incarnazione» del Verbo: da J.A. Möhler al Concilio Vaticano II, Roberto Baglioni focalizza l’attenzione sul parallelo appena accennato, mostrandone la validità e il limite, entro il quadro storico-teologico che va dall’opera del Möhler fino al numero 8 della Lumen Gentium. Per precisare ulteriormente i termini della riflessione possiamo dire la questione con le parole di Charles Journet che scrive: «Se la vita di Cristo è divino-umana o teandrica, anche la vita della Chiesa è divino-umana o teandrica. E questa comunanza di struttura è causa in Cristo e nella Chiesa di tensioni somiglianti».
È bene ricordare che l’unità tra Cristo e la Chiesa affonda le radici negli scritti del Nuovo Testamento, soprattutto nella figura paolina del Corpo di Cristo, a partire dalla quale Agostino elaborerà la sua dottrina del Christus totus. Nella riflessione cattolica della contro-riforma, il termine corpus mysticum, applicato classicamente all’Eucaristia (cfr. il celebre studio di Henri de Lubac), verrà utilizzato anche per parlare della Chiesa.
Le conclusioni del Möhler nella sua Simbolica, che si può considerare l’opera più famosa, sono certamente audaci e traggono le conseguenze esplicite dall’humus implicito della Scrittura: «la Chiesa visibile è […] il Figlio di Dio continuamente apparente tra gli uomini in forma umana, sempre rinnovantesi e eternamente ringiovanentesi, la sua incarnazione continua, così come a loro volta i credenti vengono detti nella Sacra Scrittura il corpo di Cristo».
La Chiesa è «la figura permanente» del Cristo ed è «contemporaneamente divina e umana». «È Cristo, che celato in figure terrene e umane opera in essa».
La riflessione di Roberto Baglioni ripercorre le tappe intermedie tra il contributo di Möhler e il Concilio Vaticano II. Così vediamo, ad esempio, la teologia di Karl Adam e lo schema De Ecclesia del Concilio Vaticano I. Quest’ultimo, seppure non fosse stato votato dai Padri conciliari, ha costituito di fatto la base della riflessione dei papi successivi al Concilio e in particolare di Leone XIII.
Un’altra importante tappa intermedia è certamente costituita dall’enciclica Mystici Corporis di Pio XII, il quale afferma che Cristo «talmente sostenta la Chiesa e talmente vive in certo modo nella Chiesa, che essa sussiste quasi come una seconda persona di Cristo (quasi altera Christi persona)». L’enciclica di Pio XII offre un’ermeneutica chiarificatrice della definizione della Chiesa come corpo mistico. Essa «non deve essere presa come se appartenesse alla Chiesa quell’ineffabile vincolo con cui il Figlio di Dio assunse un’individua umana natura; ma consiste in ciò che il nostro Salvatore comunica talmente con la sua Chiesa i Suoi beni superiori, che questa, secondo tutto il suo modo di vivere, quello visibile e quello invisibile, presenta una perfettissima immagine di Cristo».
Si giunge così al Concilio Vaticano II, e in particolare alla Lumen Gentium, dove  la Chiesa viene descritta come sacramento, nel senso originario di mystérion. «Per una analogia che non è senza valore (non mediocrem analogiam), quindi, è paragonata al mistero del Verbo incarnato. Infatti, come la natura assunta serve al Verbo divino da vivo organo di salvezza, a lui indissolubilmente unito, così in modo non dissimile l'organismo sociale della Chiesa serve allo Spirito di Cristo che la vivifica, per la crescita del corpo (cfr. Ef 4,16)».
Pur non sviluppando in modo dettagliato l’analogia proposta, il Concilio ricorda che tutta l’umanità ecclesiale ha la chiamata ad essere segno e mezzo della grazia di Cristo. Il Concilio tace sulla «continua incarnazione» affermata da Möhler, e sfuma, con la suddetta analogia, il parallelismo Cristo-Chiesa. Il Concilio spazza così ogni possibile fraintendimento di «unità ipostatica» tra Cristo e la Chiesa. D’altronde, per quanto possa essere stretto e fecondo, il parallelismo Cristo-Chiesa non può in nessun modo essere considerato in senso ontologico. Nella Chiesa non c’è rigorosamente una natura divina, come bisogna affermare invece nel Cristo vero Dio.
In breve, lo studio di Baglioni ha due grandi pregi: focalizzare l’attenzione sui contributi riguardanti il tema del parallelismo Cristo-Chiesa nel periodo indicato ed evidenziare con un pensiero teologico rigoroso e fedele al Depositum il valore e i limiti di tale parallelismo.