Robert Cheaib
Il passaggio fonetico da «feriale» a «ferie» è molto lieve. Descrive quasi l’impercettibile differenza o meglio la palese e sconsolante non-differenza tra il tempo del lavoro e il tempo delle ferie (per chi ancora se le può permettere). Non è necessario tuffarci dritti nella vena malinconica di Giacomo Leopardi, ma non possiamo che dargli un cenno di consenso leggendo il suo famoso poema «Il sabato del villaggio»:


Questo di sette è il più gradito giorno,
Pien di speme e di gioia:
Diman tristezza e noia
Recheran l'ore, ed al travaglio usato
Ciascuno in suo pensier farà ritorno.
La “domenica” prolungata della ferie tenderebbe a perdere spessore e a rivelarsi sbiadita al cospetto dell’attesa che la precedere.
È per questo più sano e più edificante vivere le ferie e intenderla non come un tempo di afflosciamento ma come un tempo di “ricreazione”. È ambiziosa come parola, sembra darci quasi poteri divini, ma merita tutta la sua pretesa. Il tempo di ferie da vedersi come tempo dove lo sguardo ripercorre la propria vita bene-dicendo, al pari di Elohim, la propria creazione ri-creandola. Un tempo dove il riposo “sabatico” non è la colpa di grazia contro le energie residuali attraverso un attivismo frenetico e nevrotico, ma è una rigenerazione graziosa dell’essere, un respirare la proprio esistenza a pieni polmoni, un «tempo di interiorità» per citare un titolo del vescovo emerito di Basileia Kurt Card. Koch edito dalla Queriniana.
Il libro riporta 20 meditazioni dirette e incisive, semplici e profonde. Il filo rosso che attraversa la riflessione è quello di un ripensamento rigenerante della fede. In modo particolare, la sottolineatura della natura ambivalente della fede, o meglio, del vissuto della stessa: la fede che coniuga «l’affidabilità del cielo e la fedeltà alla terra».
Proprio il taglio “incarnato” della riflessione del Koch farebbe di questo libro un ottimo compagno per chi vuole accompagnare la ri-creazione estiva con una ri-generazione della fede, spesso, purtroppo, esasperata e estenuata a causa delle priorità secondarie che di continuo le anteponiamo lungo l’anno.
Lungi dall’erigere una fede non evangelica che sfugge dalla vita, Koch sottolinea che «la vita della fede nell’ebbrezza dello Spirito Santo non priva affatto la sequela e l’attività costruttiva nel mondo della loro serietà, ma induce piuttosto necessariamente a rimanere fedeli alla terra. Naturalmente è vero anche il contrario: la nostra fedeltà alla terra ha il proprio vero fondamento nella nostra fedeltà al cielo».
È proprio questo doppio sguardo che non crea doppiezza, bensì armonia, a rendere la vita lungimirante e a farci percepire lontanamente la pienezza della vera ri-creazione la Nuova Creazione sperata nella fede.
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