La sentenza di Tommaso d’Aquino sul “De anima” di Aristotele

Robert Cheaib

Il termine specchio evoca «visione» e «conoscenza». Nel commento di Tommaso alla seconda lettera di Paolo ai Corinzi vediamo un senso ulteriore: indagando su se stesso, ciascuno, attraverso la considerazione di sé, riesce a cogliere una qualche cognizione di Dio e può, «speculando», contemplarlo ed esserne «trasformato». Tommaso spiega che speculantes nel testo paolino in latino non deriva da specula (vedetta), ma da speculum, perché nello specchio della ragione si può conoscere l’immagine di Dio.
Nella Sententia de anima di Tommaso siamo sollecitati come lettori a «riflettere e a rifletterci, con l’opportunità di avviare un processo di trasformazione che si origina nello specchiarsi e
nel cogliere i riflessi altrui nel medesimo specchio: e questo a partire proprio dall’opera proposta quale esempio di specchio “letterario” per avviare il processo cognitivo descritto». Sicuramente siamo alle prese con un’opera con «una spiccata individualità storica», ma al tempo stesso un «patrimonio dell’umano». Nel libro Lo specchio dell’anima le Edizioni San Paolo ci offrono un’elegante edizione critica della Sententia in latino-italiano. La traduzione è stata condotta da un gruppo di studiosi provenienti dalle Facoltà di Filosofia italiane, statali ed ecclesiastiche, riuniti nel Progetto Tommaso.
Il commento dell’Aquinate su un testo così originale e così lontano dalla nostra sensibilità contemporanea, qual è il Peri psyche dello stagirita, costituisce una lezione di stile, di speculazione e di rispecchiamento della proprio percezione nella griglia di un altro. Una riflessione sulla riflessione di un pensatore sulla riflessione di un altro (mi si perdoni la ridondanza della frase!) è un gioco di specchi che richiama con potenza la dimensione intersoggettiva descritta da Roland Barthes: «Chiamo intersoggettivo il fatto che il corpo dell’altro è sempre un’immagine per me, e il mio corpo sempre un’immagine per l’altro». Nel caso concreto dell’opera che abbiamo tra le mani: vedere Aristotele, vederlo visto da Tommaso, e più precisamente: vedere l’anima vista da Aristotele e vedere come Tommaso vede la visione aristotelica, allarga, illumina e arricchisce la nostra visuale, non solo sul De anima o sulla Sententia, ma su noi stessi.
L’invito alla lettura di quest’opera può essere duplice:
- Il primo riguarda gli studiosi di Tommaso e di Aristotele e qui è superfluo sottolineare la preziosità di una edizione critica con testo a fronte.
- Il secondo, invece, riguarda la persona di cultura che può guardare quest’opera «come specchio dell’anima nel quale rifletterci e riflettere. La Sententia de anima si presta particolarmente a questa possibilità oltre che per il suo tema stesso, anche perché si tratta di una sintesi di grande respiro, in cui lo Scrittore (Aristotele), il Commentatore (Tommaso) ed il Lettore sono coinvolti in un gioco di confronti in quanto esseri “animati”. La speculazione qui non consente di fermarsi al solo “riflesso” e diviene formativa perché è un indagare capace di trasformare chi l’affronta senza de-formarlo» (dalla Presentazione di Debora Roncari).
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